Posto di blocco, non dire mai questa parola: se lo fai ti arrestano | La dici ogni giorno
Come capire cos’è reato e cosa no nel linguaggio verbale in un’espressione rivolta ai vigili o a chi ci circonda? Vediamo qualche esempio…
Un momento di nervosismo, una multa di troppo, uno scatto d’ira, poi una parola di troppo ad un vigile o poliziotto e…scopriamo di aver commesso un reato. L’immaginazione purtroppo non è così lontana dalla realtà e questa situazione potrebbe succedere a tutti, pur pentendosi subito dopo o non riuscendo a capire esattamente la gravità di quanto abbiamo proferito verbalmente.
Intanto partiamo da un presupposto: prima che diventi un reato il comportamento in discussione deve avere determinati requisiti, altrimenti potrebbe essere un illecito di un’altra natura come minaccia, diffamazione od ingiuria (in questo caso è punibile solo in sede civile con un risarcimento danni). In Italia il cosiddetto “oltraggio a pubblico ufficiale” è considerato un reato punibile fino a 3 anni di carcere. Offendere un carabiniere, un ispettore, un vigile o qualsiasi pubblico ufficiale può costare davvero caro.
Lo sottolinea l’articolo 341 bis del codice penale: “Chiunque, in luogo pubblico o aperto al pubblico e in presenza di più persone, offende l’onore ed il prestigio di un pubblico ufficiale mentre compie un atto d’ufficio ed a causa o nell’esercizio delle sue funzioni è punito con la reclusione fino a tre anni. La pena è aumentata se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato. Se la verità del fatto è provata o se per esso l’ufficiale a cui il fatto è attribuito è condannato dopo l’attribuzione del fatto medesimo, l’autore dell’offesa non è punibile”.
A proposito delle “prove” apprendiamo che l’offesa, per essere definita tale, deve essere commessa alla presenza di almeno altre due persone estranei ai fatti mentre l’ufficiale è in servizio. Inoltre l’offesa deve concentrarsi sul ruolo della persona e non solo sulla persona fisica, situazione che configurerebbe per esempio un’ingiuria. Nel 2009 la legge n. 94 ha poi chiarito che parole o gesti sono condannabili solo se persiste un’offesa, solo se sono presenti più persone, solo se la situazione è avvenuta in luogo pubblico e soltanto se la vittima è in servizio. Con queste condizioni si può parlare di reato.
Una frase “di tutti i giorni” può costare cara: ecco qual è
Ad oggi provare questo tipo di reato è molto difficile. Sì, perchè la frase o il gesto oltraggioso devono ledere l’onore e il prestigio della vittima e dimostrarlo non è così semplice nell’analisi di un’affermazione o imprecazione, tantomeno dimostrarlo. Recenti sentenze della Cassazione, in questo abisso interpretativo, ha ribadito che conta più l’intenzione che il senso letterale delle parole. Diritto di critica consentito, certo, ma a patto che non sfoci nell’offesa, nello screditamento di una persona o soprattutto del suo ruolo in un momento di pubblico servizio.
Un esempio? «Che c…o volete … Non mi rompete la m…a»: in una piazza affollata queste parole esclamate alla polizia municipale hanno portato alla concretizzazione di un oltraggio a pubblico ufficiale. Si tratta di una frase che potrebbe sfuggire a chiunque in un momento di nervosismo, ma che può costare cara.
Per i giudici della Cassazione la frase pronunciata dall’uomo “è obiettivamente lesiva dell’altrui onore, rappresentando incontestabile manifestazione di disprezzo verso la persona del destinatario, indipendentemente dal ruolo sociale da questi ricoperto”.